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L’AQUILA – Non è più soltanto uno scontro tra reparti ospedalieri: la vicenda che coinvolge l’Oncologia del San Salvatore approda ora nelle aule giudiziarie e rischia di travolgere l’immagine dell’intera struttura sanitaria aquilana. Il prossimo 7 ottobre il gup Marco Billi sarà chiamato a decidere se rinviare a processo sette medici, finiti al centro di un’indagine che ipotizza responsabilità pesanti, dall’uso improprio di farmaci fino a ipotesi di omicidio colposo e lesioni.

Il cuore del caso riguarda la somministrazione di terapie considerate “fuori protocollo”, trattamenti off-label autorizzati solo in circostanze eccezionali e con consenso informato, ma che in più di un caso sarebbero stati applicati in maniera discutibile. Cure costose e sperimentali, che – secondo gli inquirenti – potrebbero aver inciso negativamente sulla sopravvivenza di alcuni pazienti, in almeno tre casi riducendola e causando gravi effetti tossici.

A dare il via alla bufera era stato l’esposto del professor Luciano Mutti, primario di oncologia, che denunciò pratiche ritenute non conformi. Una segnalazione che ha portato all’apertura del fascicolo da parte della Procura, inizialmente orientata all’archiviazione, ma con il gip che ha imposto l’approfondimento dibattimentale.

Il procedimento, ancora alle battute preliminari, segna comunque l’apice di una frattura interna che da tempo divide l’oncologia ospedaliera da quella territoriale, con effetti che vanno ben oltre la contesa professionale. In gioco, ora, non ci sono soltanto carriere e reputazioni, ma soprattutto la fiducia dei cittadini in un sistema sanitario già messo a dura prova.

Chi rischia di pagare il prezzo più alto, nell’attesa di verità processuali, restano proprio loro: i pazienti e le famiglie che avevano riposto nelle cure l’ultima speranza.
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